“La semplificazione concettuale di stati complessi è spesso un’operazione istantanea. Il fatto stesso di percepire, di fare attenzione, è di carattere selettivo: ogni attenzione, ogni nostra fissazione della coscienza, comporta una deliberata omissione di ciò che non interessa. Vediamo e ascoltiamo attraverso ricordi, paure, previsioni. Per quel che riguarda il corpo, l’incoscienza è una esigenza degli atti fisici. Il nostro corpo sa articolare questo difficile paragrafo, sa destreggiarsi con scale, con nodi, con passaggi a livello, con città, con fiumi violenti, con cani, sa attraversare una strada senza venire annichilato dal traffico, sa generare, sa respirare, sa dormire, sa forse uccidere: il nostro corpo, non la nostra intelligenza” (Jorge Luis Borges, La postulazione della realtà, in Discussioni, 1932)
Il discorso citato serve a Borges a illustrare la sua opinione su realismo e romanticismo. L’estrapolazione, me ne accorgo solo dopo aver effettuato l’ ‘operazione’, le dà un senso più ampio, quello relativo ad una superiore saggezza del soma rispetto al nous, un’irregolare declinazione, forse, del detto mens sana in corpore sano. E rimbalzi ai progressi dell’ieri, a quel tuo sentir freddo dinanzi a conflitti che (è la tua percezione attuale) son lontani dal tuo oggi di ora. L’isolamento ti appare, ora come oggi, fonte di gelo, e pure l’oblìo, la distanza, ha l’aroma più dolce che tu possa agognare. La memoria come danno, cui solo il corpo ripara. Ma in una sacca della tua memoria sono i pensieri di Clelia sulla memoria. Una memoria letteraria che consola, a fronte di una memoria del reale che annichilisce? Non sai decidere, ora come ora, tu che fino a ieri avresti detto “io sono i miei ricordi, io sono la mia storia”.
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