I have a dream

Sei accanto al mio letto. La sofferenza fluisce nelle arterie, l’incoscienza di quel che stai per dire. Più che parlare ti muovi. Ti svuoti le tasche, sciogli la cravatta, scavalchi una sedia, ti fermi, ti rialzi, sei in ginocchio e mi tieni la mano. Ma è quello che dici, che sconcerta: “finora ho vissuto solo per lavoro, ora voglio che tu mi aiuti a vivere davvero”. Sorrido, incredula. E’ troppo forte, da reggere, questa tensione. E così apro gli occhi, non c’è sedia, non c’è traccia di te. E vorrei vedere.

E’ più che evidente che nel sogno sono io che parlo a me stessa. Un grazie a chi mi ha ascoltato raccontarglielo e mi ha convinto a riprendere la tastiera. Forse davvero si è blogger a vita.

Repetita? Iuvant?

 

Ripercorri parole già note. E decidi di accantonarle. Oggi una ventata di passato (passato di ‘rete’) ti ha confermato propositi presi. Non sempre hai le giuste parole. Il controllo di te apre scollature e ventole, fori da cui l’aria stantuffa. Solo ieri ridevi di cuore, domani verranno respiri di sole.

Un’amica mi ha prestato un libro della Schelotto, vaghe tracce di ardori vissuti. Non c’è nulla come un distacco a fornir punto di cambiamento. Specie se a volerlo sei tu. Ma l’arte del ‘buon distacco’ è dura, da apprendere … Ah, forse sono tornata. Un grazie a chi è passato a leggermi, forse è vero che semel bloggatrix semper bloggatrix.

And nothing else matters

 

Giornaliero sbattere d’ali. Il fondo dell’abisso dell’altro è l’orlo del dirupo su cui mantieni l’equilibrio. Il perpetuo trovarti rimproveri si frantuma al cospetto dell’oggi di chi ha perso gli appigli. Ti colora la sera uno sguardo bambino, svelto gioco di occhi e musetti, e fiducia totale, che ti assedia di attonito. E riprendi di mano il volante, oggi sai ritrovarla, la strada.

“Dobbiamo, di tanto in tanto, riposarci dal peso di noi stessi, volgendo lo sguardo là in basso su di noi, ridendo e piangendo su noi stessi da una distanza di artisti: dobbiamo scoprire l’eroe e anche il giullare che si cela nella nostra passione della conoscenza, dobbiamo, qualche volta, rallegrarci della nostra follia per poter stare contenti della nostra saggezza” (Friedrich Nietzsche, via Etrusco). A volte è però la follia dell’altro a rendersi specchio della nostra saldezza: il duro, la prova dell’oggi, sta nel combatter la pena, il desiderio di fuga, nel restare presenti, a sé stessi e all’intorno.

Self fulfilling prophecies?

 

E’ che ‘Medea si è ritrovata, qualche giorno fa, in uno studio Rai, fra il pubblico. E questa cosa le va proprio, oh se le va, di raccontarla. Perché più dei lustrini, più di Carlo Conti (più basso di quel che appaia), più di Riccardo Fogli (più plastificato di quel che appaia), più di Enrico Ruggeri (che ha più carisma di quel che traspaia), più dei lustrini e foglie d’oro che cadevano dall’alto, l’hanno entusiasmata le retrovie (è fatta strana ‘Medea, ma che volete, la disegnano così …). Il magazzino dove Francesca Capua, bionda generalessa dal guanto di velluto, istruiva il pubblico, e mentiva sulla grafia ‘pasticcere’ (inesistente nella Crusca). La liberatoria lunga quanto una bibbia in tedesco. La mensa dimessa ma precisa quanto una mensa universitaria svizzera. Il retropalco, dove un omino della security l’ha trattenuta perché s’era attardata, a pubblicità ormai terminata: il luogo (quasi la cavea di un anfiteatro antico) dove si giocava la vera regia di trasmissione, si davano istruzioni in auricolare al conduttore, luogo pullulante di starlette in piumino e coda di cavallo e tipi di topi di produttori. E’ che capire come le cose funzionino, come giri il mondo, anche quello di pura finzione come la tv, è quel che conta. ‘Medea lo sa da un po’, di essere un ingegnere [non ingegnIere, mi raccomando!] mancato (eppure da bimba smontava le bambole, cosa è mai andato storto?)

“Il desiderio bruciante di giocare un ruolo ‘di rilievo’ nel mondo è proprio di una mentalità ordinaria. Colui che ha una comprensione più alta se ne libera presto.” (August von Platen)

Medea ritrovata

 

Ti allontani per qualche tempo, sono i tempi della vita che portano con sé la distanza. Te ne duole, ma lo raccogli, ancora una volta, come un dono, una sorta di bene necessario. Il tornare, e aver messo distanza dalle cose, te le rende con gli interessi (e stupisci, avevi così da conto questo spazio tuo, e l’allontanarti ti ha portato cose, ti ha restituito attenzioni importanti, che non osavi chiedere, ti ha ‘messo in prospettiva’). Ma è cambiata la tua, di visione delle cose: fuori dell’amore di chi ti è vicino, e della forza che ti torna dal credere, tutto ha un colore relativo, adesso. Sai di essere felice, e ogni paio d’ore ti sciogli in lacrime, per questo.

“Se si vuol giudicare la situazione di una persona secondo il suo livello di felicità, non bisogna interrogarsi su quel che trova piacevole, ma su quello che la turba: infatti, più irrilevanti sono le sue preoccupazioni, più felice è questa persona, dato che è proprio di chi sta bene lamentarsi di piccolezze …” (Arthur Schopenhauer)

 

Insufficienze acquisitive

Il generale Ricardo Sanchez, che è stato il comandante supremo delle forze americane in Iraq dal 2003 al 2004, pensa che il suo governo abbia commesso una serie di tragici errori. Ha dichiarato che “il piano di guerra era catastroficamente sbagliato e i leader politici statunitensi hanno dimostrato di non avere nessuna competenza strategica”. Sanchez sarà il tuo modello per la prossima settimana, Vergine. Spero che ti spingerà a fare una di queste tre cose: 1) criticare un gruppo o un’istituzione in cui hai svolto un ruolo importante; 2) ribellarti contro l’applicazione sbagliata di un’idea che ti sta a cuore; 3) mettere la verità morale al di sopra della cieca lealtà.

Mah … boh … (ho poco tempo, si sarà compreso …)

Millanterie e vanitas vanitatum

 

Come quando racconti di te a un estraneo completo. Che ti provi a tratteggiare contorni, e vengon fuori slabbrati, e non hai un Photoshop a corregger le trame. E vorresti ripercorrere i fili – e tracciarne di nuovi. Come quando ti senti sul filo di una trincea. Con il fuoco incrociato da un lato e dall’altro, che devi schivare i proiettili. E quasi ti vorresti colpito, e affondato, e dormire …

“Tendiamo a semplificare anche la storia; ma non sempre lo schema entro cui si ordinano i fatti è individuabile in modo univoco, e può dunque accadere che storici diversi comprendano ecostruiscano la storia in modi fra loro incompatibili; tuttavia è talmente forte in noi, forse per ragioni che risalgono alle nostre origini di animali sociali, l’esigenza di dividere il campo fra ‘noi’ e ‘loro’, che questo schema, la bipartizione amico-nemico, prevale su tutti gli altri. La storia popolare … rifugge dalle mezze tinte e dalle complessità; è incline a ridurre il fiume degli accadimenti umani ai conflitti, e i conflitti a duelli, noi e loro, gli ateniesi e gli spartani, i romani e i cartaginesi”. (Primo Levi, I sommersi e i salvati) (vorrei quasi non fosse a commento, la lettura proposta – ché in realtà stavolta ho trovato prima il ‘passo’ e poi lo spunto di scrittura, io dico che vale lo stesso …)

Insomnia

 

Ti percorrono correnti attutite, sensi alterni di gioia e paure, riconosci una donna ch’è assieme speranza e passato. Il tuo corpo – mutamenti che ameresti ignorare – digita insonne segni e segnali. E vorresti il tuo essere donna mutasse con lui, presentasse la forza e l’astuzia del vivere che cammina nell’insieme di arterie. Oggi ha un che di immobile, l’aria. [Per l’immagine credits: Equilibrioincerto]

Ho tentato di ‘capovolgere’ lo schema ‘immagine’ – pensieri in poesia – postilla (spesso rappresentata da citazioni) che prevalentemente seguo. Ho visto che anticipando la postilla (orribile ossimoro, in fondo), quel che segue diviene un commento all’ ‘estratto’ di lettura. Perdendo quel che è il senso del ‘mio’ messaggio, alla fine, che non è parafrasi alla vita di altri (ma dalla vita di altri trae spunto e conforto alla propria). Immagino tornerò alla ‘consueta’ struttura.

Life on Mars

“E gli uomini della Terra vennero su Marte. Vennero perché avevano paura, o perché non l’avevano, perché felici, o infelici, perché erano come i Padri Pellegrini che avevano fondato le colonie americane, o perché non erano come i Padri Pellegrini. Ognuno aveva avuto le sue buone ragioni per venire su Marte. Cattive mogli da abbandonare, lavori ingrati, città inospiti; ed essi venivano su Marte per trovare qualcosa, o lasciare qualcosa, o ottenere qualcosa, per scavare qualcosa, o seppellire qualcosa, o lasciare una volta per tutte in pace qualcosa”. (Ray Bradbury, Cronache marziane)

 

Non so bene perché, ma la ‘fuga’ fantasticata da Bradbury degli uomini della Terra su Marte mi riporta alle nostre ‘fughe’ reali. Al rifugiarci nella lettura, nelle palestre, nel trekking o nella rete. Alle fantasticherie che produce la ricerca della parola perfetta, o – meinetwegen – del lettore perfetto. Al rivedersi scaraventato nell’oggi di attriti e aggressioni, un oggi che richiede una scorza più dura. Che le fughe servano a tenere la scorza?

Psychosomatique

“La semplificazione concettuale di stati complessi è spesso un’operazione istantanea. Il fatto stesso di percepire, di fare attenzione, è di carattere selettivo: ogni attenzione, ogni nostra fissazione della coscienza, comporta una deliberata omissione di ciò che non interessa. Vediamo e ascoltiamo attraverso ricordi, paure, previsioni. Per quel che riguarda il corpo, l’incoscienza è una esigenza degli atti fisici. Il nostro corpo sa articolare questo difficile paragrafo, sa destreggiarsi con scale, con nodi, con passaggi a livello, con città, con fiumi violenti, con cani, sa attraversare una strada senza venire annichilato dal traffico, sa generare, sa respirare, sa dormire, sa forse uccidere: il nostro corpo, non la nostra intelligenza” (Jorge Luis Borges, La postulazione della realtà, in Discussioni, 1932)

Il discorso citato serve a Borges a illustrare la sua opinione su realismo e romanticismo. L’estrapolazione, me ne accorgo solo dopo aver effettuato l’ ‘operazione’, le dà un senso più ampio, quello relativo ad una superiore saggezza del soma rispetto al nous, un’irregolare declinazione, forse, del detto mens sana in corpore sano. E rimbalzi ai progressi dell’ieri, a quel tuo sentir freddo dinanzi a conflitti che (è la tua percezione attuale) son lontani dal tuo oggi di ora. L’isolamento ti appare, ora come oggi, fonte di gelo, e pure l’oblìo, la distanza, ha l’aroma più dolce che tu possa agognare. La memoria come danno, cui solo il corpo ripara. Ma in una sacca della tua memoria sono i pensieri di Clelia sulla memoria. Una memoria letteraria che consola, a fronte di una memoria del reale che annichilisce? Non sai decidere, ora come ora, tu che fino a ieri avresti detto “io sono i miei ricordi, io sono la mia storia”.